Quale Stato si sta riconoscendo, se uno stato non esiste? Ai Palestinesi serve la costruzione di basi solide per una pace duratura, non la propaganda occidentale
La tragedia di Gaza è sotto gli occhi di tutti, ogni giorno sempre più lacerante. Una guerra schifosa, come tutte le guerre, con le vittime civili che sono vittime due volte: colpite dalla violenza degli attacchi di Israele e da un regime sanguinario che usa i cittadini come strumento, come arma se non come veri e propri scudi umani. Lo sappiamo, anche se molti fingono di non ricordarlo o di non sapere: Hamas nasconde le sue postazioni sotto scuole e ospedali, lancia razzi da quartieri abitati, colpisce ospedali a Gaza dando la colpa a Israele. E la cosa che più rabbrividisce, nell’indifferenza totale, è il fatto che rende pubblici i numeri dei morti in maniera indistinta: “morti palestinesi”, senza distinguere tra civili, miliziani o leader armati. Qualcuno si sarà mai chiesto perché Hamas non distingue fra morti civili e combattenti? Forse perché nella loro ideologia folle e sanguinaria tale distinzione non esiste? Tutti sono utili, tutti sono sacrificabili. Quante volte avete visto Yahya Sinwar, ex capo di Hamas, attorniato da bimbi con mitra in mano? Oppure quella volta che alzò in braccio, davanti alla folla festante per i missili sparati a Israele, un bimbo di 3 o 4 anni che imbracciava un mitra con tanto di fascetta da kamikaze sulla nuca?
Niente di nuovo, niente che sia stato inventato da Hamas, solo tramandato: un sistema che ricorda molto le politiche del regime di Khomeini durante la rivoluzione iraniana e la guerra contro l’Iraq. Migliaia di giovanissimi, spesso bambini, furono mandati al fronte in ondate umane, promossi a martiri dalla propaganda. Quelle tecniche sono oggi patrimonio ideologico di Hamas, proxy attivo del regime di Teheran. Il ricorso strumentale ai civili è parte del DNA politico-militare di chi si ispira a quel modello radicale. Non se ne parla mai, come non si parla mai degli ostaggi morti e di quelli ancora nelle mani del Governo di Hamas a Gaza.
Come riconoscere uno Stato che non c’è?
La moda degli ultimi giorni è quella di invocare il riconoscimento dello Stato palestinese come gesto di pace. Ma siamo davvero sicuri che, proprio in questo momento, esista uno Stato palestinese? Non per tediare tutti con il diritto internazionale, ma siamo sicuri che abbia quelle caratteristiche minime solitamente richieste per riconoscere uno stato? La Convenzione di Montevideo del 1933, uno dei testi base per il riconoscimento giuridico di uno Stato (seppure non sia stata sottoscritta da molti Stati), stabilisce quattro elementi essenziali: popolazione permanente, territorio definito, un governo, capacità di entrare in relazione con altri Stati.
Ebbene: la Palestina non ha né un territorio chiaramente definito, né tantomeno un governo unico e legittimo. In Cisgiordania l’Autorità Nazionale Palestinese amministra solo in parte, ma sotto tutela israeliana. A Gaza comanda Hamas, che non riconosce Israele anzi ne vuole la distruzione. Un Governo considerato da molti paesi terrorista, che utilizza in maniera disinvolta e spregiudicata la violenza quotidiana, la becera propaganda e che soprattutto non ha alcuna legittimità democratica riconosciuta. Due entità separate, rivali, che in più di un’occasione si sono scontrate anche con le armi. È questa la definizione di “governo”? Due autorità in conflitto tra loro, senza una vera sovranità sul proprio territorio?
Quanto al territorio, anche qui regna l’ambiguità. Dove comincia e dove finisce, oggi, lo Stato palestinese? Quali sono i suoi confini? Chi li controlla? La stessa Cisgiordania è punteggiata da insediamenti israeliani, checkpoint, zone cuscinetto. E la Striscia di Gaza è isolata, controllata ai valichi e militarizzata da decenni. Non c’è uno spazio unitario, non c’è una sovranità territoriale piena, né tantomeno condivisa da una comunità internazionale.
I rischi del riconoscimento prematuro
Il primo danno è politico: riconoscere lo Stato di Palestina oggi può solo avere effetti politici, non reali, ovvero significa legittimare semplicemente Hamas, di fatto riconoscere la loro autorità in Gaza, anche a danno dell’Autorità Nazionale Palestinese, che ha già chiesto la deposizione della armi ad Hamas per bocca di Mohammad Mustafa, e che soprattutto accetta l’idea dell’esistenza di Israele al fianco della Palestina.
In secondo luogo, si distruggono gli strumenti negoziali: il potenziale riconoscimento è una leva che può spingere Hamas a moderarsi, ma se viene giocata presto, perde valore. L’Autorità Palestinese non ha più motivazione né spazio per ricompattarsi. E Hamas non ha alcun incentivo per avviare compromessi.
Infine, si illudono i palestinesi. La gente comune in Cisgiordania e Gaza è vittima due volte: della guerra e di una leadership che promette Stato ma consegna violenza e divisione. Se davvero si vuole uno Stato palestinese democratico, libero e forte, bisogna pretendere un governo unico, unità territoriale, legittimità riconosciuta, non cerimonie simboliche.
Perchè questa corsa al riconoscimento?
Certo difficile farsi unidea, in questo mondo che sembra completamento impazzito, incapace di ragionare con un minim di raziocinio. Iniziamo con il ricordare che, almeno per quanto riguarda l’Europa, molti riconoscimenti vengono da ex Stati comunisti: Bulgaria, Ungheria, Romania, Polonia, Cipro, Slovacchia e Ceco‑Slovacchia riconobbero la Palestina nel 1988, ben prima prima del crollo dell’Unione Sovietica. Lo facevano su pressione dell’URSS, come parte della strategia antisraeliana e antiamericana.
Poi c’è la Spagna: riconobbe la Palestina prima del 2007 ma solo recentemente l’ha ufficializzato con forza interna. In Inghilterra e Francia lo fanno forse spinti da una volontà di recuperare autorevolezza internazionale, in uno mondo che li vede sempre più scivolare verso l’inconsistenza diplomatica. Il Canada, infine, vuole probabilmente distinguersi dalla politica di Trump e Netanyahu. Ma questi non sono atti di pace: sono atti di politica interna.
Cosa fare?
Prima è necessario smantellare militarmente e politicamente Hamas: “non c’è dopoguerra se c’è ancora Hamas a Gaza”, ha dichiarato Giampiero Massolo, esperto diplomatico ex Ambasciatore.
Poi avviare una fase diplomatica seria, che ricomponga l’Autorità Palestinese, unifichi rappresentanza e istituzioni. Solo allora si potrà parlare di riconoscimento reciproco tra Stati sovrani, perché riconoscere uno Stato che non esiste è un tradimento della verità, non un atto di pace.


2 risposte a “Riconoscere lo Stato Palestinese fa davvero bene ai Palestinesi?”
Il Suo commento è perfetto. Anzi necessità che si faccia rilevare quanti miliardi tra il gruppo di Hamas e quello prima di Arafat hanno speso, per annientare il popolo SOVRANO È DEMOCRATICO DI ISRAELE.
Basta soffermarsi sui miliardi in possesso della moglie e figlia di Arafat . I quali a Londra fanno i abbabi
mentre il popolo Palestinese serve ad Hamas per scudo è paravento.
Buonggiorno. Tutte le rissorse e i miliardi mandati in Palestina sono usati dai criminali di hamas per costruire tuneli e comprare armi per eliminare lo ststo Israeliano. Ricordiamo che i miliziani di hamas non vengono dal cielo ma sono figli dei Palestinesi. Vuol dire che i palestinesi conservano profondo odio per il popolo di Israele. Cosa e necessario fare per ristabilire la situazione. oblicare i trrroristi di hamas di deporere i armi e di arrendersi definitivamente, mandare sul posto le casche blu e un gruppo dei consiglieri Ocidentali per gestire la situazione fino alla normalisazzione totale e contemporiaramente usando i media di informazione per far capire ai palestinesi la giusta strada per vivere in pace nel rispetto dei altri popoli con culture e religgioni diversi da loro. in contrario sospendere tutti i sforzi e le risorse che per fin ora sono state inutile perche non ano datto nessun risultato positivo.