Le cronache raccontano di un Papa Francesco preoccupato, nelle acque di Lampedusa, che confidava a chi gli stava vicino: “spero proprio che si capisca il significato di questo mio gesto”. Ecco, io sono tra quelli, tanti o pochi conta poco, che non ho compreso appieno il significato di questo gesto.
Il Santo Padre arriva laddove la sofferenza chiama, e questo è chiaro e comprensibile a tutti, ed è indubbiamente tra i suoi doveri il dare una scossa alle coscienze di tutti; ma il significato della visita proprio a Lampedusa, proprio in quella striscia di terra che alimenta false speranze a tante, troppe vittime, spesso innocenti, dove sta il senso?
Oltre ventimila, forse venticinquemila, sono le vittime, negli ultimi decenni, di questo braccio di mare che alimenta un vero e proprio mercato degli sbarchi organizzati; assodato è anche il coinvolgimento della malavita organizzata in quello che per molti, troppi, è diventato un enorme business.
Insomma, le preoccupazioni di Papa Francesco erano fondate, probabilmente per molti rimane incomprensibile questa visita, che pur mossa dai più alti e nobili intenti, non si potrà che tradurre nel più grande degli spot a favore di questi viaggi della speranza. Il problema è che Lampedusa, almeno per i migranti, non è simbolo di speranza, bensì è l’approdo finale di quella tratta degli schiavi del terzo millennio a cui ogni Governo, a prescindere dal colore politico, dovrebbe tentare di porre la parola fine.
Inevitabilmente, da oggi, ogni cittadino del terzo mondo si sentirà in qualche modo, seppur impropriamente, autorizzato e incoraggiato a prendere parte ad uno di questi rischiosissimi viaggi, infrangendo ogni tipo di regola e legge, convinto di essere comunque dalla parte della ragione, sapendo che un Paese intero sarà pronto ad accoglierlo.
Accogliere, rifocillare, nutrire, vestire, dare un lavoro, offrire un futuro ad ogni essere umano, che disperato, ci chiede aiuto. Sarebbe bello poterlo fare. Al contrario, l’Italia come ogni Stato del mondo, difende (e lo fa male) i propri confini, e cerca di gestire i flussi migratori (con scarso successo), evitando di aprire in maniera indiscriminata le frontiere, altrimenti sarebbe un disastro. Ogni Stato del mondo dicevamo, compreso lo Stato Pontificio. Ecco infatti cosa recita la Legge sulla cittadinanza, residenza e accesso dello Stato Pontificio, al Capo III art. 9, commi 1,2 e 3
Art. 9
Titolo di accesso
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Salva la parte del territorio vaticano in cui è consentito il libero accesso, coloro che non sono cittadini o non hanno la residenza nello Stato devono munirsi, per accedere ad esso, di un permesso rilasciato dal Governatorato secondo le modalità che verranno stabilite con un regolamento.
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Il permesso può essere rifiutato qualora ricorrano giusti motivi.
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Il permesso consente di rimanere nella Città del Vaticano per il tempo corrispondente alle esigenze in relazione alle quali è stato concesso
Un testo di legge nuovo, moderno, approvato nel recente marzo 2011, non certo il retaggio di un mondo passato.
Si dirà, giustamente, che la dimensione territoriale, estremamente ridotta, della Città del Vaticano, non può che imporre una stringente politica sugli accessi, sulla residenza e cittadinanza. Tutto vero. Certo che la piccola Lampedusa, con i suoi 20km², non può permettersi, in egual misura, di essere invasa quotidianamente da diverse centinaia di disperati.
Combattere l’indifferenza, la tentazione di girare la faccia di fronte alla sofferenza di milioni di persone, in questo abbiamo il dovere di ascoltare le parole del Santo Padre. La soluzione non la troveremo a Lampedusa, il sollievo non arriverà alimentando i viaggi della speranza. “Aiutiamoli a casa loro”, ecco uno dei primi slogan della Lega Nord, che in fin dei conti non significa altro che affrontare il problema, enorme, dei Paesi in via di sviluppo, ecco dove ricercare la soluzione.
Combattere la globalizzazione dell’indifferenza, quindi, non significa solo aggiungersi al coro, ben folto nella giornata di ieri, di chi crede che la soluzione possa arrivare dai viaggi della speranza a bordo di gommoni stracarichi; l’indifferenza si combatte anche tenendo il punto sul rifiuto assoluto rispetto ad ogni tipo di sbarco indiscriminato, esortando tutti gli Stati, non solo l’Italia, ad adoperarsi per trovare soluzioni comuni.
4 risposte a “COMBATTERE LA GLOBALIZZAZIONE DELL’INDIFFERENZA DICENDO NO AGLI SBARCHI A LAMPEDUSA”
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