Saranno forse curiose coincidenze, ma la fotografia politica della giornata di ieri è abbastanza significativa. Nel giorno in cui si consumava un doloroso strappo all’interno della Lega Nord, con la decadenza di Flavio Tosi, a Roma veniva votata a grande maggioranza, una riforma costituzionale che manderà in fumo quei pochi brandelli di autonomia che le nostre regioni si erano conquistate. Mentre a Nord la Lega pativa una divisione, piccola o grande che sia (io credo piccola), a Sud i centralisti segnavano un punto importante. Solo un caso? Probabilmente si, ma sarebbe meglio interrogarsi.
Divide et Impera
Un dirigente della Lega che se ne va o viene cacciato non spaventa. Tosi non è il primo a fare questa fine, anzi la lista delle figure di spicco allontanate nel tempo è lunga e variegata: Castellazzi, Rocchetta, Comencini, Comino, tutti condannati all’oblio politico.
La novità sta nel contesto in cui è nata e maturata la spaccatura tra Tosi e la Lega. Una volta il copione era semplice: da una parte c’era la Lega che voleva difendere il Nord, risolvere la questione settentrionale e combattere il centralismo e dall’altra parte l’espulso di turno accusato di essersi venduto al nemico, di lavorare contro la soluzione della questione settentrionale. Processi rapidi, prove poco circostanziate, si espelleva a vario titolo e in svariate forme. Le motivazioni politiche erano però sempre solide.
Se ragionassimo ancora seguendo questo spartito, Nord contro Roma, Flavio Tosi di responsabilità e colpe ne ha da vendere. Da tempo ha sempre agito come il più “italiano” tra i leghisti. Fu tra i primi ad attaccare violentemente Umberto Bossi, a tratti anche in maniera inelegante:“Bossi Lucido? Anche io potrei avere un tumore e non lo so”. Ha ridicolizzato a più riprese l’idea della secessione e indipendenza, che rimane caposaldo e all’art. 1 dello Statuto della Lega Nord. Si è candidato, primo tra i primi, alle primarie che non ci sono, quelle del centro destra. Ha costituito una fondazione dal nome dissacrante, almeno per un leghista vero: “Ricostruiamo il Paese”. Ma il Paese in questione sarebbe l’italia, quella matrigna che schiaccia e soffoca da anni i popoli del Nord.
Per questo non sprecherò lacrime per la cacciata di Tosi.
Quello che mi preoccupa è lo scenario in cui è maturata questa decisione è un po’ diverso: oggi siamo impegnati, come Lega Nord, in un progetto di espansione nazionale, complicato e irto di incognite, ed è all’interno di questa strategia espansionistica che si sono sviluppate visioni diverse e configgenti. Cerco di farla più semplice: se prima eravamo uniti nel difendere il Nord, attraversando alti e bassi nei consensi, ora rischiamo di dividerci nell’interesse della ricostruzione dell’italia, per usare lo slogan di Flavio Tosi.
Mi viene un po’ l’orticaria. Ho sempre pensato che da Roma e dall’italia non sarebbe mai arrivato nulla di buono per il Nord, e credo che anche in questo caso la teoria trova solide conferme. Oggi c’è qualcuno che a Roma se la ride di gusto; mentre quella che se la ride in Veneto, Ladylike, è solo un insignifcante eco.
Quindi salutiamo Tosi, senza rimpianti, e sosteniamo Luca Zaia che è l’unica speranza per i veneti; però stiamo attenti che il nemico del Nord non ha cambiato indirizzo, non ha cambiato casa né interessi. Sta sempre abbarbicato a Roma, tra un palazzo e l’altro. Noi dobbiamo salvare il Nord da Roma e dall’Italia, questo era e rimane il nostro obiettivo.