L’inadeguata Kyenge mi ricorda il cronista Jayson Blair; copiava e inventava articoli, ma al NYT lo difendevano perché era nero…

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Filippo Facci, in un bell’articolo su Il Post, si interroga se sia possibile che il sospetto di un processo alle intenzioni ogni volta debba oscurare le inerzie del ministro Kyenge? Al di là della più recente polemica per la famigerata, quanto innocente, rubrica “Qui Kyenge”, pubblicata sul nostro quotidiano La Padania, è dal giorno del suo insediamento che ogni critica, da qualsiasi parte arrivi,

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persino se dalle autorevoli colonne del Corsera, a firma Giovanni Sartori, viene bollata come becero attacco a sfondo razzista. “La criticate perché è nera”, questo il mantra. E anche nelle occasioni in cui il Ministro Kyenge si rende protagonista di gaffe inenarrabili, come quando tuonò: “se volete vietare il Burqa allora togliete anche il velo delle suore”, che a nessuno sarebbero state perdonate, anche in quel caso: nulla. Vietata la critica, altrimenti veloce arriva l’accusa di razzismo. Che scemenza. Purtroppo questi atteggiamenti non sono nuovi, e colpiscono anche società civili, ben più preparate e rodate di noi nel difficile rapporto tra culture ed etnie diverse. Utile, a tal proposito, ricordare il famoso caso del cronista del New York Times Jayson Blair. Nel maggio del 2003 scoppiò un enorme scandalo, che mise in forte imbarazzo la redazione di una delle testate più famose al mondo. Fu scoperto che uno dei reporter e cronisti più prestigiosi del giornale, Jayson Blair appunto, aveva scritto decine e decine di articoli falsi, altri ne aveva copiati di sana pianta da testate locali; un vero e proprio falsificatore seriale. Venne fuori che questa propensione ad una, per così dire, verità creativa, del giovane Jayson Blair era da tempo piuttosto risaputa, già in diverse occasioni aveva dato prova della sua scarsa affidabilità, ma nonostante ciò la carriera del giornalista fu particolarmente rapida e non trovò ostacoli, anzi. Come fu possibile che nessuno denunciò per tempo le malefatte di Blair? Una risposta la troviamo leggendo il Blog di Christian Rocca, che segnalò come molti commentatori, dal Washington Post a Newsweek, denunciarono una motivazione, davvero sconcertante, che portò alla strenua difesa di Blair: Jayson era un giovane giornalista di colore, afroamericano, e il NYT cacciandolo aveva il timore di essere accusato di razzismo. Oltretutto era stato assunto al giornale con uno di quei programma di “affirmative action”, ovvero dei sistemi che garantiscono privilegi alle minoranze. Se avessero attaccato e criticato Blair sarebbe partita l’accusa di razzismo; lo colpite perché è nero, avrebbero detto, e per una redazione che viveva come un difetto l’eccessiva presenza di “bianchi”, ciò sarebbe stato intollerabile. L’epilogo, come abbiamo ricordato, fu tremendo per il giornale, che dovette ammettere l’amara realtà, coprendosi il capo di cenere davanti ai propri lettori.

Può quindi il colore della pelle, la differenza etnica, l’essere parte di una minoranza, diventare l’alibi dietro cui coprire ogni cosa? Usare la propria diversità come fosse uno scudo, una sorta di protezione, di licenza, un velo ipocrita del politicamente corretto grazie al quale far veicolare idee e progetti pericolosi, che puntano magari a scardinare la nostra società? Pensiamo solo all’idea di introdurre il diritto di cittadinanza attraverso il principio dello ius soli. Chi c’è allora dietro Cécile Kyenge? Chi ha portato questa sconosciuta ad un posto di Governo? Non è difficile arrivarci, è lo stesso nome che da anni si intesta le politiche, scellerate, che una certa sinistra vuole mettere in campo in tema d’immigrazione: stiamo parlando proprio di lei, dell’On. Livia Turco. L’autrice della nefasta legge Turco-Napolitano, quella che fu cancellata a furor di popolo, e sostituita dalla Bossi-Fini, che non a caso ancora oggi rappresenta l’obiettivo da abbattere ad ogni costo. La Turco ha pensato bene di ritornare in campo calzando la maschera del politicamente corretto. Molti ritengono sia stata, infatti, proprio lei a segnalare a Bersani Cécile Kyenge, lei l’avrebbe voluta come ministro, sicura che grazie allo scudo garantito dal proprio colore della pelle, sarebbe stato più difficile criticarla.

Questo timore si è presto concretizzato, manifestandosi in tutta la sua drammaticità nel timore che, addirittura una testata storica come il Corriere, ha dimostrato negando il consueto spazio di spalla, quindi in primo piano, all’editoriale di Giovanni Sartori del giugno scorso; la colpa del politologo? Aver aspramente criticato le idee del Ministro Kyenge sullo ius soli, e aver osato evidenziare la palese inadeguatezza della stessa a ricoprire il ruolo di Ministro.

Siamo sicuri che non arriverà presto il giorno in cui saremo costretti ad un brusco risveglio e ad accorgersi che la Kyenge non è altro che una versione italiana di Jayson Blair? Come si dice in questi casi? Ai posteri l’ardua sentenza.