Ancora una volta Napolitano si schiera contro la libertà, difendendo una riforma della Costituzione che riporta tutto il potere a Roma. Ribelliamoci.
Leggendo la recente intervista di Aldo Cazzullo a Giorgio Napolitano, appaiono ben chiare due cose che già sospettavamo: la prima è che l’Italia sta vivendo un malsano rigurgito centralista e la seconda che Napolitano è l’uomo che più di altri incarna l’insofferenza del potere verso l’aspirazione degli uomini alla libertà. In fondo è sempre quel Giorgio che, in età già matura, esultò come un ragazzino assistendo nel ’56 ai carri armati russi che uccidevano giovani idealisti per le strade di Budapest. Quei carri armati che secondo lui «contribuivano alla pace del mondo». Giovani che appunto sognavano la libertà, negata da un potere assoluto e autoritario. Volessimo giocare con la storia ci verrebbe facile immaginare che, se Napolitano fosse stato al Governo nel 1898, avrebbe consegnato di persona al macellaio Bava Baccaris, con probabile godimento, l’ordine di sparare sulla folla. La sudicia stoffa sembra la medesima. Così come sotto il suo ministero si compì la vergognosa irruzione violenta della Polizia nella sede di un Movimento Politico, la Lega Nord. Lo fece probabilmente con soddisfazione, salvo poi tentare di auto assolversi. Nel solco della tradizione dei «potenti» italiani.
Poi si sa, questi tipi di persone non sono certo come il buon vino,invecchiando quasi sempre peggiorano. Ed allora non è certo un caso che interpellato sul prossimo appuntamento referendario, quello in cui saremo chiamati a confermare o meno la «Riforma Boschi», il vecchio sentenzi:
«Vedo tre diverse attitudini. Quella conservatrice: la Costituzione è intoccabile, non c’è urgenza né bisogno di rivederla. Quella politica e strumentale: si colpisce la riforma per colpire Renzi. E quella dottrinaria “perfezionista”. Dubito molto che tutti i 56 costituzionalisti e giuristi che hanno firmato il manifesto contro siano d’accordo su come si sarebbe dovuta fare la riforma. Ma questa è una posizione insostenibile: perché il No comporterebbe la paralisi definitiva, la sepoltura dell’idea di revisione della Costituzione
Questo Napolitano, così attento a spingere a favore di una riforma votata a maggioranza e con l’aula semideserta in segno di protesta, è lo stesso Napolitano che nel 2011 evocava «larga condivisione» mentre bloccava, con una decisione inaudita, il decreto sul federalismo. Il timido inizio di una riforma che solo un orbo può continuare a non vedere come necessaria.
Dev’essere dunque ben chiaro a tutti noi: Giorgio Napolitano incarna il nemico del Nord, il nemico numero uno della Padania, il tiranno che a tutti i costi ha sempre difeso e ancora difende il più bieco centralismo. Lo ha fatto ieri e lo fa ancora oggi, con immutata determinazione e ferocia ideologica, mentre finalmente contiamo i giorni finali della sua esistenza.
Lui ha sbarrato la strada del cambiamento ed ora, non pago di aver frustrato il nostro legittimo desiderio di libertà, incita ad umiliarci approvando una riforma che riporterà a Roma tutti i poteri.
Dobbiamo con abilità cavalcare questo rigurgito centralista, che diventi la scintilla da cui potrà scaturire la rivolta. Questa volta il tiranno non deve passare, Giorgio non deve vincere. Sarebbe bello salutare la sua esistenza con una sonora vittoria di popolo, una vittoria per la libertà.