Mi perdonerete queste dure parole che seguono; le scrivo perché mi sento in dovere di farlo per tutte quelle centinaia di migliaia di giovani vite spezzate, ragazzi uccisi, mutilati, umiliati e giustiziati. Non contenti di averli massacrati, continuiamo ad offendere, anche dopo un secolo, la loro memoria.
Ci vuole una certa dose di spregiudicato coraggio e sfrontatezza, doti presenti in abbondanza nella classe politica italiana, per rinnovare ogni anno questa scabrosa liturgia del 4 novembre. Diciamolo subito: il 4 novembre è tutto un inganno.
L’Italia entrò in guerra tradendo i suoi alleati, protagonista di un doppiogiochismo diplomatico degno della scarsa considerazione e rispetto che tutti, tra i governi mondiali, hanno sempre riservato all’Italia. Il Governo firmò il Patto di Londra il 26 aprile 1915, ma lo comunicò ai suoi alleati della Triplice solo il successivo 4 maggio. Per nove lunghi giorni l’Italia fu tecnicamente alleata di tutte e due le parti in guerra, le stesse che da un anno stavano macellando i loro figli migliori nelle trincee di mezza Europa. Inganni, infamia, tradimenti. Una storia in pieno stile italiano.
Un inganno pure la data, perché la guerra non finì il 4 novembre 1918, le forze dell’Impero Austro-Ungarico si erano già arrese da qualche giorno. E per dirla proprio tutta, fu dalla morte di Francesco Giuseppe I (21 novembre 1916) che l’impero asburgico iniziò a sgretolarsi. Ben presto i suoi valorosi uomini rimasero a combattere senza cibo e munizioni, incredibilmente resistettero quasi due anni, ma questo fu in gran parte merito della dabbenaggine dei comandi italiani, gente che tutto sapeva fare, tranne la guerra. Nei nostri ragazzi non mancò il coraggio, non mancò l’onore, ma guidati da generali incapaci e macellai, impegnati a combattere una guerra inutile, non poterono fare meglio. Insomma, il 4 novembre non fu davvero il 4 e non fu nemmeno una vittoria. Il nemico se ne tornò a casa, prima che potesse dirsi vinto.
Si ha poi il coraggio di festeggiare le Forze Armate, in questo infausto 4 novembre, quando la partecipazione dell’Italia alla Grande Guerra fu solo un inutile e cinico sacrificio di circa 651.000 giovani soldati. Giovani uomini. Sarebbe stato sufficiente accettare la proposta formalizzata dall’Austria il 27 marzo 1915, in cui si offriva all’Italia la cessione del Trentino (senza il Sud Tirolo, dove d’altro canto gli italiani erano pressoché inesistenti), un avanzamento del confine italiano fino all’Isonzo, la trasformazione di Trieste in città autonoma e persino la cessione dello strategico porto albanese di Valona all’Italia. L’Italia avrebbe avuto tutto questo, ad una sola condizione: rimanere neutrale e non uccidere 651.000 giovani. Invece i politicanti italiani, spinti da un manipolo di intellettuali e interessati politici al soldo delle grandi aziende, decisero di dichiarare guerra all’Impero Austro-Ungarico. Il risultato fu l’accatastarsi di cadaveri a migliaia, giovani innocenti morti per nulla; perché alla fine l’Italia non ottenne nemmeno tutto ciò a cui ambiva in questo suo grande sogno imperialista. Fu deciso un sacrifico di 651.000 soldati e quasi altrettanti civili, senza contare i feriti, i mutilati e in generale tutti quelli segnati da uno dei conflitti più duri della storia. Tutto questo solo per conquistare il Sud Tirolo – che ancora oggi è Italia solo sulle carte geografiche – Trieste, l’Istria e la Dalmazia, che rimasero Italia giusto un paio di decenni. Impegnare i propri uomini in battaglie inutili è una grave colpa, ma questo è solo il primo torto compiuto alle Forze Armate. Il “Generalissimo”, il macellaio Luigi Cadorna, spronò tutti i suoi sottoposto spingendoli ad una disciplina così ferrea da trascendere totalmente in una inutile tortura. Le esecuzioni sommarie non si contavano più e si introdusse nel 1916, nonostante il codice militare non prevedesse tale pratica, la famigerata decimazione. Si uccideva a caso 1 soldato (innocente) su 10 di ogni unità che si ammutinava. Venivano estratti a sorte. Il premio? La morte. Tutto per assecondare i capricci di un Generale militarmente incapace, bravo solo ad assecondare il proprio smisurato ego. Vi pare ora che il 4 novembre sia la ricorrenza adatta per festeggiare le Forze Armate? Ma a quelli che stanno a Roma dei soldati non è mai importato nulla, per di più se si trattava di poveri montanari e contadini lombardi e veneti. Carne da macello, carne da cannone. Oggi come ieri.
E si sceglie poi di festeggiare il 4 Novembre anche l’Unità d’Italia. Qui la retorica ci ha sguazzato per decenni, dipingendo la Grande Guerra come la quarta Guerra d’Indipendenza, o il necessario completamento del Risorgimento. In effetti, tragico inganno fu il Risorgimento quanto infame vicenda fu la Prima Guerra mondiale per l’Italia. Siamo forse l’unico Stato al mondo che necessita di ricordarsi, una volta l’anno, di essere unito. Seguendo lo stesso patetico copione di quelle coppie che celebrano il loro grande amore solo nel giorno di San Valentino. Fu vero il contrario. I ragazzi della pianura padano-alpina che affollarono le trincee a centinaia di migliaia in quegli anni, si accorsero di non condividere nulla con quei soldati che arrivavano da posti lontani e sconosciuti del Regno d’Italia. Non condividevano la lingua, i costumi, le tradizioni, persino la maniera di rivolgersi a Dio era diversa. Eppure furono gettati in una lurida trincea, con la stessa divisa, ma senza un motivo che loro potessero comprendere. Molti si accorsero di essere in fondo più vicini ai giovani che stavano dall’altra parte della barricata, rispetto a questi strani ragazzi che parlavano una lingua incomprensibile e che arrivavano da chissà dove. Ecco perché fu proprio la Prima Guerra mondiale l’occasione per toccare con mano l’inesistenza dell’unità nazionale, se per unità si vuole intendere un comune senso di appartenenza e non un semplice vivere entro i confini di un medesimo impero. Quello sarebbe imperialismo. Ma questi balordi, ancora a distanza di un secolo, ben lungi dal ripristinare un minimo di verità storica, ben lontani dal compiere quella necessaria revisione critica di una tragedia italiana, si gonfiano il petto e sfilano come galli cedroni depositando corone d’alloro. Potessero parlare quelle tombe, per la miseria!