Sono stato, anzi lo sono tuttora, un fan dei CCCP e del «salmodiare» (perché non è che lui cantasse) di Giovanni Lindo Ferretti. Roba minima, niente di chissà che. Ho comprato diversi suoi album, mi è capitato di incrociarli dal vivo e comunque mi piace ancora ascoltare ogni tanto qualche pezzo di quell’inconfondibile punk continentale.
Era bello scavare dentro i loro testi, nel tentativo -spesso vano- di trovarci un senso. La musica e quello strano modo di cantare facevano il resto.
Adesso che della sua nuova musica conosco nulla, mi capita di apprezzare e condividere ciò che dice. Lui è sempre quello che non ti aspetti. Non essere mai banali è un dono divino. Quello che pensa un Ligabue qualunque sui profughi, per esempio, lo puoi intuire con trenta decenni di anticipo. Il pensiero scontato è un pensiero insignificante.
Ferretti riesce pure a spendere due parole a favore d Salvini. A suo modo, complicato e complicandosi. Ma pochi riuscirebbero ad essere così pungenti e veri come riesce a lui.
Parole che ha consegnato alla memoria e al quotidiano il Foglio:
C’è anche un intermezzo insignificante e diventa la notizia virale, da prima pagina in cronaca locale. Appena sceso dal palco un microfono ed una telecamera esigono risposte, c’entra Salvini, c’entrano i profughi. Due parole a difesa di Salvini non le nego a nessuno e non sono disponibile, non lo sono mai stato, per la compilation dei bravi artisti con il cuore in mano, l’indignazione a comando. Ex meglio gioventù in perenne rimpianto con botulino incorporato.
Cosa penso dei profughi? E’ un dolore immane, non può essere lenito da alcuna parola emotiva. Si può, si deve, evidenziare il taciuto: l’Islam politico, il terrore imposto nel vicino oriente, lo stato di timore che avvolge l’Europa. I profughi ne sono ostaggio e conseguenza. Di questo bisognerebbe discutere per poter operare il prima e meglio possibile. Che il Signore protegge lo straniero e che la carità è pilastro della socialità sta scritto ovunque e sta inciso nel cuore dell’uomo, anche del mio. Di che stiamo parlando? Quello che sta succedendo è per certi versi una invasione, per altri una deportazione di masse umane gettate nella disperazione. Poi restano storie individuali comunque tragiche, a ricordarci che il male, il dolore, sono quota inalienabile dell’umanità, vanno combattuti, contenuti e arginati per quel che si può. “Occorre metabolizzare la tragicità del vivere in dolente saggezza e un uso della forza capace di affrontare la tempesta” è una frase del mio intervento. Credo che la tempesta sia in arrivo ma gli unici che si vedono in giro sono intenti ad allestire un picnic. Quelli rintanati in casa partecipano via web, disquisiscono e pontificano postando la loro sostanziale inconsistenza, beatificati dal virtuale. Connessi al vuoto. Li inghiottirà. Ciao.