Lui è uomo d’altri tempi, nato e cresciuto in un mondo in cui l’informazione viaggiava molto lenta e soprattutto aveva poca memoria. Con i suoi capelli tutti grigi che svolazzano con troppa libertà, e quell’aria sempre un po’ assente, quasi svampita, di chi sembra essere in perenne stato di sorpresa, come se si domandasse: “ma che ci faccio qui”?
Purtroppo per lui, Lugi Zanda, oggi viviamo in un mondo in cui ogni dichiarazione, ogni notizia, ogni parola detta riemerge, impietosa e senza sconti a nessuno. Siamo nell’era di quel grande archivio digitale e condiviso che è la grande rete.
I tipi come lui, quelli cresciuti con l’abitudine di trasformarsi in sepolcri imbiancati a seconda della propria convenienza, dimenticandosi di ciò che si era fatto e detto con la velocità di un battito di ciglia, non hanno ancora capito che la classica figura di palta, per non dire peggio, sta sempre dietro l’angolo ad attenderli. Impietosa.
E il povero Luigi non impara la lezione, e continua a coprirsi di ridicolo. Non è servita la figuraccia di qualche mese fa, quando avvallò l’estromissione di due Senatori dalla commissione Affari Costituzionali, mentre dagli archivi di stampa saltò fuori la sua furibonda reazione e i veementi attacchi che portò contro Schifani nel 2012 (mica due secoli prima), reo di una simile estromissione in commissione Vigilanza Rai.
Non conosce vergogna Luigi Zanda, e imperterrito continua a infilare una figuraccia dietro l’altra.
Ieri, durante un appassionato intervento in Senato, dove fingeva di rammaricarsi per l’annuncio della famosa “tagliola” sugli emendamenti, che non permetterà di discutere pienamente in Aula la riforma della costituzione, ha dato ancora una volta il meglio di se: ha attaccato gli avversari, gli ha additati per aver adoperato, a detta sua, “espressioni luride”, ha accusato l’opposizione di “mancanza di democrazia”. Proprio lui che difende un Presidente del Consiglio che pretende di imporre la logica del: “o si fa come dico io oppure si fa come dico io”. Ovvero quanto ci sia di più lontano dal concetto di condivisione e dibattito democratico. Ma la cosa ridicola è andare a rileggere cosa affermava Zanda quando stava dall’altra parte, ovvero quando vestiva i panni della minoranza chiamata a condividere una riforma della costituzione.
Nel 2006, quando si stava per approvare la riforma costituzionale del centro destra, la famosa “Devolution”, il buon Luigi Zanda arrivò a firmare addirittura un appello a quattro mani con Mario Segni, in cui affermava:
“In un tempo nel quale il senso dello Stato e la dignità delle istituzioni nazionali vengono pericolosamente calpestati, vogliamo con questo manifesto riaffermare il loro valore assoluto “
Per mera convenienza, e con fiera ipocrisia, gridava allora alle istituzioni che venivano calpestate, oggi fa spallucce e anzi approva.
E poi l’appello finale
“le procedure di revisione della Carta costituzionale previste all’articolo 138, siano la strada maestra per la modifica di pochi e circoscritti articoli. Viceversa, ove la revisione dovesse interessare vaste parti della Costruzione ed una pluralità dei suoi istituti, riteniamo che sia necessario indire una Assemblea costituente”
Avete capito bene? Non solo rivendicava il rispetto integrale del percorso di riforma della costituzione, e non la tagliola che impone oggi, ma addirittura sosteneva che tale procedura potesse valere solo per piccole modifiche. Per le grandi riforme era necessaria un’Assemblea Costituente. Oggi invece è lì a perorare la causa di chi vuole riformare l’intero sistema istituzionale in due settimane ad agosto, comprimendo addirittura il dibattito parlamentare.
Questo è Luigi Zanda, e probabilmente non è nemmeno colpa sua, è che lo disegnano così, senza vergogna.