Qualche giorno fa sono stati diffusi i documenti congressuali dei candidati alle primarie del Partito Democratico; al di là del risultato scontato, che incoronerà vincitore l’abile venditore di sogni Matteo Renzi, quel candidato che nel suo documento non fa altro che smentire e bocciare la politica della sinistra italiana degli ultimi venti anni, il dato inquietante è un altro: la totale assenza del federalismo.
Analizzando i quattro documenti, la parola federalismo compare solo in due relazioni, quella di Cuperlo e quella di Civati, ma si tratta di brevi e quasi insignificanti accenni.
Curiosamente Cuperlo scrive:
“In ogni caso, le intese vanno cercate nel quadro di un rafforzamento della forma di governo parlamentare, sul modello del cancellierato o del governo del primo ministro. È necessario il superamento del bicameralismo paritario e la riduzione del numero dei parlamentari, da affiancare alla riforma del titolo V e alla istituzione di un Senato delle Regioni e delle Autonomie. Lo sviluppo anomalo del federalismo italiano è stato uno dei fattori che hanno contribuito a portare la spesa pubblica fuori controllo, ad aumentare inefficienze e clientelismo.”
Sarebbe divertente chiedere per quale motivo, se non per un avido gioco politico, il suo partito decise di cancellare la Devolution nel 2006, riforma che prevedeva tutto ciò che oggi invoca come necessario nel suo documento programmatico. Scandaloso.
Giuseppe Civati, l’unico lombardo in corsa per la segreteria, dimostra di essersi velocemente “romanizzato”, snobbando di fatto le istanze del territorio di cui dovrebbe essere espressione. Nella sua relazione si fa cenno al federalismo una sola volta e in questi termini:
“Un Paese attrezzato per competere col futuro, che non distrugge il territorio ma utilizza l’energia pulita, che non consuma irresponsabilmente risorse e suolo, che abbandona una politica economica obsoleta puntando sull’economia positiva, che ha interesse ad essere altruista e costruisce un capitalismo responsabile, che non cede al nazionalismo ma crede in un federalismo solidale ed in una Unione Politica Europea, livello politico a cui riportare sempre le nostre decisioni”
E il futuro segretario del PD e candidato alla Presidenza del Consiglio Matteo Renzi? Zero assoluto. Nel suo documento, pregno di critiche alla politica di sinistra e del PD, prodigo di buone intenzioni e belle parole, non si fa mai cenno al federalismo, la parola non compare mai, nemmeno per sbaglio.
Purtroppo il federalismo ha rappresentato, per tanti politicanti di sinistra come di destra e di centro, soltanto una moda, è stato sposato per convenienza politica nel momento in cui con forza la Lega Nord era riuscita ad imporre, con grande fatica, il tema delle autonomie nell’agenda politica nazionale. I centralisti, gli uomini di apparato, i politici di professione, erano riusciti con astuzia, sfrontatezza e una buona dose di inganno, a far credere di essere stati folgorati sulla via di Damasco. Era solo un giochino, una tattica, una convenienza elettorale appunto.
Adesso Roma getta la maschera, si illude che la sua operazione volta alla distruzione della Lega Nord, non tanto come movimento, ma come unica voce che finalmente dava forza ed identità politica alla parte produttiva del Paese, abbia avuto successo e allora pone fine al grande inganno. I partiti romani, come il PD, sono espressione del potere centrale, odiano le autonomie, sono per definizione ostili ad ogni riforma che tolga potere ai boiardi di Stato, quelli che da Roma pretendono di continuare a spremere la gallina dalle uova d’oro, il nord, e di farlo impunemente. Ecco perché i candidati alla segreteria del PD non parlano di federalismo, perché semplicemente non lo vogliono.
Ecco perché la legge di stabilità del Governo Letta non parla di costi standard, ecco perché continua ad inventarsi sigle idiote come T.a.s.i., T.a.r.i., T.r.i.s.e., che rispondono sempre alla stessa medesima logica: far pagare il conto degli sprechi romani ai poveri cittadini. Come pensa Matteo Renzi di cambiare questo Paese, ormai fallito, continuando a permettere che vi siano Regioni che sprecano risorse e altre costrette a tagliare per far quadrare i conti? Come si può pensare di di far ripartire l’economia se si continua a far pagare il conto alle centinaia di migliaia di imprenditori del nord strangolato dallo stato centrale che non vuole dimagrire?
Il federalismo è la ricetta minima, l’unica residua e debole speranza, oggi forse già insufficiente, per salvare il salvabile, e non c’è nemmeno traccia.
Noi lo sapevamo, solo la Lega Nord è l’unico movimento baluardo del cambiamento, l’unica speranza di riscatto per milioni di cittadini umiliati e sfruttati da anni; non ci resta che convincere chi è stato ingannato in questi anni, non sarà facile, ma è l’unica strada percorribile.