Un’Assemblea Costituente per il post accozzaglia

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L’accozzaglia ha bocciato Renzi, il Governo e una pessima riforma costituzionale. Ora bisogna ripartire con un processo condiviso, eleggendo un’Assemblea Costituente chiamata a riformare la Carta

accozzaglia
Renzi ha perso e di brutto. Questo il dato politico più eclatante, rafforzato da una inusuale affluenza che ha raggiunto percentuali record, nonostante la complessità del quesito referendario. La sensazione è che il popolo si sia recato in massa a votare sul Governo, ancor più che su Matteo Renzi. Il risultato è eloquente: una sonora bocciatura. Niente alibi, per questo pure un guitto della politica com’è Renzi, si è trovato costretto ad annunciare subito le proprie dimissioni.

Ed ora? Che succede, che si fa? Una delle argomentazioni del fronte del sì, dal mio punto di vista abbastanza cretina, era la famosa accusa, rivolta al fronte del NO, di essere «accozzaglia». Certo il gruppone del NO era particolarmente eterogeneo, vero, ma ciò in un referendum è quasi naturale, sottolinearlo quasi stupido. Senza contare che chi muoveva questa infantile accusa, era lo stesso che guidava un governo di centro sinistra nella cui maggioranza annoverava una forza dal nome eloquente: Nuovo Centro Destra. Da che accozzagliato pulpito, verrebbe da dire!

ADESSO IL MOMENTO DELLA PROPOSTA

È vero però che ora viene il momento della proposta, dell’alternativa, vi è insomma l’esigenza di tracciare una nuova strada verso il cambiamento. Partiamo da alcuni punti più o meno condivisi da tutti. La Costituzione Italiana necessità di una revisione, così come il sistema politico. Modificare la carta a colpi di maggioranza, escludendo il dialogo e una larga condivisione, rischia solo di far naufragare tutto il lavoro in un sol giorno di referendumm. È successo ieri con il centro sinistra, era successo nel 2006 con il centro destra. E non possiamo più permetterci che ciò accada, perché di tempo ne abbiamo sempre meno. E allora provo a tracciare una breve road map del cambiamento, ipotizzando e auspicando ciò che potrebbe essere. La butto lì, per vedere l’effetto che fa.

Primo passo affrontare il nodo legge elettorale. Questo è uno dei grandi pasticci ereditati dal governo Renzi: non abbiamo una legge elettorale per il Senato e l’Italicum per la Camera sarà molto probabilmente affossato dalla Corte Costituzionale. Confezioniamo una legge elettorale in fretta, che magari eviti di consegnare la vittoria a chi raccoglie solo il 25% del consenso, e che torni a creare il collegamento tra eletti e il territorio che rappresentano. Il modello spagnolo, simile alla vecchia legge elettorale delle province, non sarebbe male.

Fatta la legge elettorale, magari già nella primavera prossima, si ritorni al voto.

CON IL VOTO SI SCELGA L’ASSEMBLEA COSTITUENTE

In virtù della conclamata esigenza di riforme, e del fatto che debbano essere per forza condivise, la soluzione auspicabile sarebbe quella di eleggere un’Assemblea Costituente, con lo scopo di redigere una nuova riforma costituzionale. Per coinvolgere in maniera più incisiva gli elettori, oggi in realtà chiamati ad esprimersi solo a posteriori sulla bontà di una riforma già confezionata dai partiti, l’Assemblea Costituente dovrà per forza essere elettiva. Ogni partito, o anche coalizione, depositerebbe un programma preciso per le riforme e poi, in una terza scheda, quindi oltre a quelle di Camera e Senato, gli elettori deciderebbero quale di questi programmi votare. In base all’esito della votazione si assegnerebbero i seggi all’interno dell’Assemblea Costituente, composta da parlamentari o consiglieri regionali già eletti e stipendiati, così da non gravare eccessivamente sulla spesa pubblica e in numero non troppo ampio. Esprimere un voto per le riforme separato da quello delle politiche è un punto essenziale, perché abbiamo l’esigenza di liberare il tema delle riforme costituzionali, oggi ostaggio dei conflitti tra i partiti. Perché sono un’altra cosa, diversa dall’azione governativa. Quindi un elettore del PD, per esempio, potrebbe appoggiare l’idea di una riforma federale spinta, dunque votare lo schieramento che la propone. E naturalmente, viceversa. Oggi, purtroppo, questo non può accadere.

RIPARTIAMO DA MANTOVA, CUORE DELLA PADANIA

Altri due elementi sarebbero importanti, proprio per assicurare un buon esito delle riforme. I membri dell’Assemblea Costituente dovrebbe avere vincolo di mandato, cioè essere obbligati a rispettare le linee programmatiche per cui sono stati votati ed eletti. I trasformismi, all’interno di un’Assemblea Costituente, avrebbero ancora meno senso che all’interno del Parlamento. Ci sarebbe poi la necessità di allontanare anche fisicamente, oltreché politicamente, questa assemblea dalla melma politica della palude romana. Per questo motivo, la butto lì, una città come Mantova, cuore di quella Padania che rappresenta la parte più moderna e rinnovatrice dell’Italia, sarebbe il luogo ideale e pure storicamente e culturalmente attrezzato, per ospitarla.

Fissato un tempo massimo di lavoro, diciamo dodici mesi, il testo dovrà arrivare in Parlamento, dove trovare l’accordo dei due terzi dovrebbe essere più semplice. A quel punto non ci sarebbe nemmeno più bisogno del referendum, il processo riformatore sarebbe partito dal basso, in maniera ancora più partecipata.

Ecco, questo sarebbe un buon punto di partenza per il post accozzaglia. Il mio piccolissimo sasso è stato gettato nel grande stagno.