Province: dopo il Del(i)rio che si fa? Elezione diretta

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Dopo il caos ereditato da Renzi e Delrio, torniamo ad eleggere direttamente i nostri Presidenti di Provincia, per poi difenderci dalle rapine di stato

Il 7 aprile 2014 la Gazzetta Ufficiale pubblicava la legge n.56, la celeberrima «Legge Delrio», per gli amici delirio, meglio nota come la «legge che avrebbe abolito le province». Dico avrebbe, perché in realtà non lo ha fatto. E non lo ha fatto perché, probabilmente, non si può abolire ciò che esiste praticamente in ogni realtà statuale degna di nota. La legge è composta da un solo articolo e 151 commi, così come richiede la recente strampalata prassi del sistema legislativo italico. Il comma 51, vergato evidentemente in un momento di , ops scusate, delirio di onnipotenza, recita quanto segue:

  1. In attesa della riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione e delle relative norme di attuazione, le province sono disciplinate dalla presente legge.

Cioè il legislatore intervenne con una legge ordinaria, ma volle subito farci sapere che avrebbe svolto la mera funzione di anticipare una riforma della Costituzione. Un manipolo di geni. Una mossa che oggi appare in tutta la sua idiozia, oltreché avventatezza, visto che il 4 dicembre ha spazzato via tutta quella riforma del titolo V. Quindi, tanti saluti alla vostra fantomatica «attesa», inserita con scrupolo e spocchia addirittura in una norma di legge. Ci sarebbe molto da ridere, se non ci fosse da piangere lacrime amare, perché in questa Italia ci tocca vivere. Ci sarebbe anche da scrivere fiumi di parolacce che diano l’idea della serietà con cui qui si scrivono le leggi e si attuano le presunte riforme, soprattutto la superficialità con cui si trattano temi delicati e importanti, come il rapporto tra Stato, enti locali e corpi intermedi. A questo punto, serietà vorrebbe, che una legge che si dichiarava direttamente collegata ad una riforma, venga gettata immediatamente al rogo.

DELRIO PENSA AL PONTE SULLO STRETTO

Purtroppo però le province, che per lungo periodo hanno incarnato tutti i mali dell’Italia, sono completamente sparite dal radar del dibattito politico. Perché? Semplice, perché nessuno si vuole grattare questa rogna. La legge 56 è peraltro un concentrato di idiozie, un testo che a tratti sembra essere stato pensato con un sadico gusto di tortura istituzionale. Vi sono inserite alcune vere e proprie perle, come per esempio la durata in carica del Presidente di Provincia, quattro anni, diversa da quella del Consiglio chiamato a sostenerlo, due anni.

Perché? Così, giusto per fare un po’ di casino. E dopo aver partorito questo guazzabuglio, che ha umiliato e devastato uno degli enti più antichi dell’ordinamento italico (addirittura pre unitario), il nostro caro Ministro Graziano Delrio è stato naturalmente promosso, come spesso accade a chi in Italia sbaglia. Ora è ministro delle infrastrutture e trasporti, anche se diverte constatare come a lui piacciano sempre parecchio i deliri. Giusto un paio di mesi fa ha infatti annunciato in pompa magna:

«Pronti a mettere soldi pubblici per il Ponte sullo Stretto»

E niente, lui ama proprio dire e fare cazzate, non c’è niente da fare.

La differenza è che con il Ponte sullo Stretto si può giocare quanto si vuole, con le province il rischio è che si giochi sulla pelle dei cittadini. Ci sono autobus da garantire almeno ai pendolari, strade da sistemare e asfaltare per gli automobilisti, scuole da riscaldare e tenere in piedi per gli studenti, servizi per i disabili che vanno erogati. Tutte cose molto poco «inutili».

SI NAVIGA A VISTA, ANZI FERMI

Oggi il legislatore ha permesso ogni obbrobrio contabile alla province, pur di evitare che in massa certificassero il dissesto. I bilanci pluriennali non si fanno più, i previsionali si approvano alla fine dell’anno di riferimento (?!?!?).Poi gli interessi si congelano, i mutui si rinegoziano e si usano gli avanzi di amministrazione per finanziare spesa corrente (orrore). Di tutto di più, basta tirare a campare. Il problema è che ora inizieranno a tirare le cuoia. Bisognerebbe intervenire subito, mettere mano a questa situazione insostenibile, tornare a dare un senso ad una istituzione che, forse, ci siamo accorti essere indispensabile. Ma nessuno ne vuole sapere, perché siamo in campagna elettorale perenne e le province «puzzano». Ti alzi tu in aula a difendere le province? Così ti tirano i pomodori? Meglio stare zitti, che si arrangino.

LA PROPOSTA: ELEZIONE DIRETTA DEL PRESIDENTE

È evidente che oggi le province hanno totalmente azzerato la loro autorevolezza istituzionale e politica. L’UPI tenta di far sentire la propria voce, ma tutto si riduce sempre e soltanto ad un mero atto di pietismo, una richiesta ci carità, come se dovessimo sperare nella generosità dell’amministrazione centrale. Peccato ci siano province, come la mia di Monza e Brianza, in cui lo Stato arriva a prelevare forzatamente l’87,5% delle tasse e imposte proprie riscosse dall’ente. Una situazione insostenibile ed imbarazzante, che costringerà l’ente a votare un Bilancio bocciato dai Revisori dei Conti, con le possibili conseguenze del caso.

Quella che serve ora è una proposta politica che guardi al futuro ruolo delle province, un ruolo che dovrà per forza di cose passare attraverso la legittimazione popolare. Una soluzione che dovrà anche coniugare le giuste esigenze di spending review, come è giusto che sia, magari responsabilizzando davvero quale realtà provinciali che hanno contribuito a creare il mito della provincia sprecona, valorizzando quelle virtuose, efficienti e che sanno auto finanziarsi.
Torniamo a chiedere l’elezione diretta del Presidente della Provincia, passaggio fondamentale per rispondere alla rinnovata voglia dell’elettorato di tornare protagonista nel processo politico e amministrativo. Senza contare che l’ente tornerebbe a riconquistare autorevolezza e peso politico. Dopo, e solo dopo, si tratterà con lo Stato Centrale sul tema delle risorse, ma da una posizione di maggiore forza.