K-Flex ci dice che in Lombardia senza autonomia si muore

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Le aziende non possono più sopportare 54 miliardi di residuo fiscale. Senza autonomia il nostro sistema produttivo morirà

k-flexDa qualche mese c’è un’azienda con un nome strano, la K-Flex, che rimbalza sulle bocche di tutti, dalla stampa locale ai grandi network nazionali. A dispetto della sua dimensione internazionale, con le sedi e impianti sparsi per mezzo mondo, stiamo parlando di una realtà nata e cresciuta nel cuore produttivo della Lombardia, in Brianza.

I vertici aziendali hanno deciso di chiudere i battenti del sito produttivo di Roncello, proprio dove è partita l’avventura di questa realtà che solo fino a pochi mesi fa, prima delle agitazioni, era un fulgido esempio di imprenditoria lombarda.

Sono 187 i lavoratori che perderanno il posto di lavoro, a dispetto dei 60 colleghi che rimarranno in organico, perché assegnati al reparto ricerca e sviluppo, che continuerà ad operare regolarmente.

L’azienda è sotto accusa non solo per la decisione di chiudere i battenti e trasferire la produzione altrove, ma anche perché negli ultimi anni avrebbe goduto di svariati milioni di euro di finanziamenti. Il titolare e fondatore della K-Flex, in una lunga intervista a il Giorno, dice che però si tratta di un semplice prestito (non di finanziamento a fondo perduto) che in parte è già stato restituito e che finanziava attività di ricerca e sviluppo, settore che rimarrà in Italia e non sarà spostato.

Si tratta di un prestito, che per definizione quindi dobbiamo ed abbiamo già restituito in buona parte, per attività di ricerca e sviluppo. L’erogazione di un prestito, secondo quanto previsto dal bando, avviene solo dopo l’effettiva verifica della destinazione di impiego dello stesso. L’importo complessivo è stato quindi interamente investito in Italia ed esclusivamente in ricerca e sviluppo. Il tutto documentabile e verificabile.

Così come chiarisce anche la questione dell’aiuto ricevuto da Simest, ovvero Cassa Depositi e Prestiti. Si tratterebbe di un investimento con la logica del venture capital, proprio con lo scopo di internazionalizzare le aziende. Ironia della sorte.

Forse non tutti sanno che lo scopo della SIMEST è proprio quello di sostenere la crescita delle imprese italiane attraverso l’internazionalizzazione della loro attività. Simest opera come società di private equity e versa capitale in imprese estere a forti potenzialità di sviluppo, non si tratta quindi di un aiuto di Stato ma di un investimento che Simest effettua con logiche di profitto come ogni altra impresa. Anche in questo caso si tratta di un prestito, concesso dal Ministero dello Sviluppo Economico attraverso una società del Gruppo Cassa Depositi e Prestiti, a noi come a molte altre imprese italiane che stanno internazionalizzando.

PERCHÉ LE AZIENDE SCAPPANO?

Credo che queste polemiche, buone solo ad alimentare il solito can can politico, rischiano di essere fuorvianti, se non addirittura dannose per le riflessioni che la vicenda K-flex dovrebbe indurci a sviluppare. Perché dovremmo iniziare a porci una domanda molto semplice: come mai le aziende che producono fuggono dalla Brianza e dalla Lombardia?

La K-Flex è una realtà sana, conta duemila dipendenti nel mondo e sta aprendo una fabbrica negli Stati Uniti, in Louisiana, che non è terzo mondo.

Potremmo pure ridurre la questione al semplice fatto che questo Amedeo Spinelli sarebbe semplicemente uno «stronzo», un «padrone» capitalista che decide, magari per sgarbo o per quattro pulciosi euro, di chiudere e trasferire la produzione della sua azienda. Il problema è che negli ultimi decenni, e non solo in Brianza, di questi imprenditori «stronzi» e «capitalisti», ce ne sono stati a centinaia. E oltre a far fuggire le aziende estere, cominciamo pure a far scappare i nostri imprenditori, quelli che hanno costruito una fortuna in Brianza e in Lombardia. Forse il dubbio che il problema stia altrove dovremmo farcelo venire? Che ne dite?

LE AZIENDE SCAPPANO PERCHÉ NON SOPPORTANO I 54 MILIARDI RAPINATI DA ROMA

Le aziende scappano perché non riusciamo più ad essere luogo adatto a fare impresa. Molto semplice. Se una volta potevamo sopperire alle carenze infrastrutturali, alla burocrazia, alla corruzione e a un sistema di leggi cervellotico, attraverso l’impegno, la dedizione, la fatica e la svalutazione, oggi non possiamo più farlo.

La colpa grave è stata quella di aver sperperato la ricchezza che abbiamo costruito in tutti questi anni, ed è stata tanta. Una montagna di quattrini che non sono stati investiti qui, in Lombardia, ma sono stati invece costantemente rapinati da Roma. Hanno alimentato il sistema perverso e distruttivo dell’assistenzialismo, che ancora oggi drena risorse al Nord, per tenere il Sud in una situazione comatosa, agevolando la malavita organizzata. Ogni giorno che alziamo la serranda o ci rechiamo in fabbrica, veniamo spennati come polli.

Per farla breve: il problema sta in quei mastodontici 54 miliardi di residuo fiscale annuo, la differenza tra ciò che cittadini e imprese versano e quanto ne rimane sul territorio sotto forma di trasferimenti e servizi. Il problema e la soluzione dei nostri mali sta tutta lì: 54 miliardi che servirebbero a rendere la Lombardia più efficiente, con strade ed infrastrutture all’avanguardia, tali da colmare il gap di costo della produzione. 54 miliardi che potrebbero allentare la morsa fiscale, che rende poco redditizio produrre in Lombardia.

La K-Flex è arrivata a perdere fino a 4 milioni di euro negli ultimi tre anni, considerando solo il sito produttivo italiano.

Il bilancio civilistico della società italiana sarà positivo ma include gli utili prodotti all’estero dalle consociate. Il bilancio che riguarda le attività in Italia, escludendo quindi gli utili prodotti all’estero, sarà negativo come da alcuni anni a questa parte e, negli esercizi dal 2013 al 2015, ha fatto registrare perdite rilevanti che vanno dai 2,5 ai 4 milioni di euro.

Questo Spinelli sarà pure «stronzo», non lo so non lo conosco, ma certamente non vuole passare da pirla.

LA SOLUZIONE? IL REFERENDEM SULL’AUTONOMIA

Perché il compito dell’imprenditore è semplicemente quello di far sopravvivere, magari anche crescere e prosperare, le proprie aziende. E considerate anche il fatto che se continuasse a perdere, rimanendo in Italia, magari i lavoratori il posto lo dovrebbero comunque salutare. Probabilmente anche gli altri 60, non solo i 187.

Quindi la soluzione, al di là di tante chiacchiere inutili, passa attraverso il referendum dell’autonomia, primo grande passo verso la richiesta, più che legittima, di poter tentare un ultimo e disperato salvataggio del sistema produttivo lombardo. Altrimenti, sarà la fine. Per tutti, Roma compresa.