Electrolux e la quota 30€. La soluzione sarebbero i dazi, ma non ditelo all’Europa

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Quota trenta euro. Il problema Electrolux sta tutto racchiuso dentro a queste due cifre; trenta euro per ogni singola lavatrice (o lavastoviglie) prodotta. Questo il gap che divide un lavoratore italiano dal suo omologo polacco. E anche nel caso tu fossi disponibile a diminuire le ore lavorate, ad eliminare le festività pagate, sospendere i premi di produttività, efficienza, redditività e qualità; ridurre i permessi sindacali, le pause e congelare gli scatti di anzianità, anche a quel punto, si ridurrebbe il divario di soli 7,5€ a pezzo, arrivando quindi a 22,5€ per lavatrice. Sempre troppi, considerato che si parla di una produzione al ritmo di 80 pezzi l’ora. Ogni giro di orologio l’azienda potrebbe risparmiare oltre 2000€ a stabilimento; difficile, a queste condizioni, convincersi che vi sia una via d’uscita percorribile.

Ecco lo scenario che ci siamo trovati di fronte oggi, davanti ai cancelli della Electrolux di Solaro; una delegazione della Lega, guidata dal Segretario Matteo Salvini, è arrivata qui soprattutto per ascoltare e per cercare di mettere in campo ogni aiuto possibile. Forti si sono levate le grida di rabbia e di dolore di centinaia di lavoratori, che non si vogliono rassegnare al ridimensionamento della loro fabbrica, non vogliono piegarsi alla logica che è poi sempre la solita: tagli, esuberi, ristrutturazione e poi si chiude.

Tavoli di concertazione, sindacati, riunioni, scioperi, convocazioni straordinarie al Ministero dello Sviluppo; sempre la stessa liturgia, gli stessi attori protagonisti, lo stesso canovaccio e purtroppo, spesso, troppo spesso, il medesimo risultato: cassa integrazione, se va bene, mobilità e poi l’oblio.

La questione è sempre la maledetta quota trenta euro. Potremmo aprire un lungo discorso sul valore della vita umana, della qualità del lavoro, dell’utilità marginale di questi dannati trenta euro; magari e soprattutto per una multinazionale che macina miliardi di fatturato. Tutti discorsi buoni per riempire le pagine di qualche libro, di un trattato di sociologia, o peggio di un comizio per aizzare le folle, il pueblo affamato, contro il padrone avido e cattivo. Parliamoci chiaro: tutto inutile. È il mercato, bellezza, non è che possiamo prenderci in giro. Le aziende non rimangono laddove sono costrette, rimangono laddove vi sono le condizioni per generare più profitto. Tutto il resto è roba buona per riempire la programmazione di qualche talk show stile La Gabbia, Piazza Pulita o Quinta Colonna.

Non si può e non si deve pretendere che un’azienda non guardi innanzitutto al profitto, altrimenti cadrebbe il motivo stesso per cui questa azienda, in ultima istanza, garantisce il lavoro, ovvero la vita e una dignitosa esistenza a migliaia di onesti lavoratori. Il problema sta altrove, e risiede nella responsabilità di chi è chiamato a dettare le regole di questo mercato; insomma, la soluzione la troviamo in una parola che qualcuno crede sia ancorata soltanto ad antichi retaggi medioevali, ma che è uno strumento comunemente usato da tutti: i dazi.

E non si tiri fuori la solita tiritera che le forme di protezionismo sono antistoriche, illiberali, anacronistiche o quant’altro; non lo si faccia perché se persino una delle economie più votate al liberismo del mondo, quella degli Stati Uniti d’America, ricorre all’utilizzo dei dazi, così come fanno anche tantissimi Paesi emergenti, come la Russia, Cina, India e Brasile, forse ci si dovrebbe rendere conto che aprire indiscriminatamente il mercato dell’Unione Europea non è stata un’idea proprio brillante. Electrolux vende un terzo dei propri elettrodomestici nel mercato dell’Europa Occidentale; ciò significa che se permettiamo di produrre in Europa Orientale, (mercato che per Electrolux vale un misero 5%), e nel frattempo garantiamo libero accesso al nostro ricco mercato, dove si generano gran parte dei volumi di vendita, significa che siamo stupidi, o in malafede. Quelle dell’Unione Europea appaiono come regole scritte apposta per depredare il nostro territorio, succhiare il succhiabile e poi abbandonarci quando, un giorno non troppo lontano, non serviremo più nemmeno come mercato. Perché oggi non siamo più competitivi come zona di produzione, e domani, con la diminuzione di salari e occupati, non saremo più interessanti nemmeno come mercato. Probabilmente ritorneremo poveri, e solo allora il ciclo ricomincerà. La prospettiva dev’essere quella di diventare noi la Polonia del domani?

Ecco allora come raggiungere e conquistare la famosa quota trenta euro; su ogni lavatrice prodotta nei mercanti emergenti, quelli che oggi scontano un basso costo di mano d’opera, ci mettiamo trenta euro di tassa. Attenzione: questo non esime l’Italia dal dover superare enormi difetti endemici al nostro sistema; burocrazia, sprechi, spesa pubblica improduttiva, tasse abnormi, ecc.. ecc.. Questo lo si dovrà continuare a pretendere. Ma pensare che possiamo permetterci di distruggere il nostro sistema produttivo, sperando di costruire comunque un futuro per noi e i nostri figli, è oggettivamente folle.