Ciao Gilberto, Uomo Libero…

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Ieri ci ha lasciati Gilberto Oneto, uomo simbolo delle lotte indipendentiste padane. Scrittore, saggista e intellettuale graffiante, dalla penna efficace e talvolta spigoloso come tutti gli uomini che pensano. Per chi volesse ricordare la figura di Gilberto Oneto, consiglio la lettura degli articoli di Gianluca Marchi e Leonardo Facco, pubblicati su Il Miglio Verde.

Al di la di mille parole che si potrebbero spendere, ho pensato di ricordare Gilberto Oneto con le sue parole e i suoi testi. Doveva essere ospite del convegno, organizzato lo scorso 30 ottobre dall’Associazione Culturale La Fara, in cui si cercava di ripristinare un minimo di verità storica sulla Grande Guerra, di cui era grande esperto e autore di diverse pubblicazioni, tra cui l’ultima dal titolo “Il Guerrone”. Non riuscì, causa malattia, ad intervenire fisicamente a Monza quella sera. Ci salutò con una telefonata, in cui sferzò a suo modo la platea. Ci lasciò anche un lungo intervento scritto, che oggi custodiamo come preziosa testimonianza.

Ecco, ho voluto rileggere le sue parole, per ricordare quanto ci mancheranno, ma nella certezza che tutto ciò che ha scritto e tutto il lavoro da lui profuso per la nostra Padania, non andrà disperso. Ciao Gilberto.

Il Guerrone: abisso di italianità

Con la Grande Guerra i patrioti italiani festeggiano il completamento dell’unità e il consolidamento della loro identità nazionale: si sarebbero con tale avvenimento finalmente “fatti gli italiani”.  In realtà il giustificato motivo di festa è costituito  dall’avere salvato l’unità politica: la guerra è servita allora a impedire la disgregazione dello Stato italiano  e – di fatto – a farlo resistere fino a oggi. Per questo hanno, dal loro punto di vista, tutte le buone ragioni per festeggiare.

Secondo uno dei mantra più salmodiati  dal patriottismo italiano, il Risorgimento era incompleto: la nota lamentazione «fatta l’Italia, non si sono fatti gli italiani» veniva interpretata come la necessità di costruire un granitico idem sentire che collegasse tutte le popolazioni della penisola e non –com’era nello spirito del D’Azeglio, cui la frase era attribuita –  come una presa d’atto della inconsistenza di una italianità partorita dalla fantasia di retori. Sostenere che si dovessero “fare” gli italiani dopo che si era “fatta” l’Italia era già come ammettere che mancavano i reali presupposti per l’unione e cioè l’esistenza di una comunità che si riteneva tale e che volesse istituzionalizzare con una struttura politica  il proprio “sentirsi una cosa sola”. È l’ammissione che il processo di unificazione italiana era stato imbastito su un trucco ideologico: si era fatto finta che esistesse una nazione per costruire uno Stato che la contenesse e si è poi utilizzato lo Stato per costruire ex post una nazione che ne giustificasse l’esistenza. Sostenere – come viene fatto – che la Grande Guerra abbia finalmente unificato gli italiani  è ammettere che si erano col processo risorgimentale truccate le carte e che ci sono voluti – nella migliore delle ipotesi – più di cinquant’anni per rimediare all’inganno.

Col Risorgimento si era solo affastellato un involucro privo di collante o giustificazione identitaria, su basi piuttosto fragili, su motivazioni emotive o letterarie cui erano sensibili solo alcune frange di classi più dotte. Il tutto era avvenuto per spinta di interessi stranieri, su macchinazioni massoniche, per i vantaggi di una ristretta classe economica e politica, sugli appetiti di una dinastia. Il processo di unificazione – cui è stata del tutto estranea la volontà popolare –  si era scontrato con la prevalente cultura cattolica e con la forza dell’attaccamento ad antiche istituzioni che avevano comunque garantito ordine per secoli. L’unità era stata raggiunta con la forza delle armi, con gli inganni diplomatici, con determinanti apporti stranieri, con ambigue alleanze criminali e con “trucchi contabili” come i plebisciti. Nata fra  inganni e violenze, l’unità politica necessitava di ulteriori inganni e violenze per non sgretolarsi.

Leggi il resto su: http://www.lafara.org/2015/11/20/la-fara-ricorda-gilberto-oneto/