Boldrini vuole internet al guinzaglio, libertà in pericolo

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Delirio boldriniano: con la scusa delle bufale e di qualche insulto si vuole limitare la rete, lasciando il monopolio delle notizie false solo ai grandi media che da sempre usano anche questa arma
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Boldrini la sua personale battaglia contro la rete la iniziò qualche anno fa, quando nel maggio del 2013 arrivò addirittura a evocare una legge per regolare il web:

Boldrini: «Basta all’anarchia del web, è tempo di fare una legge»

Nei giorni scorsi, complice la golosa occasione rappresentata dall’inutile giornata contro la violenza sulle donne, il più odiato Presidente della Camera della storia repubblicana (si può dire? O rischio il carcere?) è ritornato sull’argomento. In un patetico tentativo di indurre al pietismo i cittadini italiani, ha reso pubblico un condensato (non sappiamo quanto rappresentativo, essendo meno di dieci) degli insulti di cui è stata vittima in rete.

Nella giornata contro la violenza sulle donne vorrei sottoporre alla vostra attenzione un fenomeno sempre più frequente…

Pubblicato da Laura Boldrini su Giovedì 24 novembre 2016

Insulti e minacce irripetibili, sia chiaro, ma temo molto simili a quelli che quotidianamente ricevono, in misura più o meno ridotta, molti politici e in generale personaggi famosi. Solo in rete? Nemmeno per sogno. Quando la Boldrini se ne esce con qualcuna delle sue «trovate», state pur certi che nei bar, nelle strade e nelle piazze di mezza Italia, qualcuno si lascia andare in epiteti irripetibili. La rete è solo uno strumento, diverso e forse più potente, ma un mero strumento. Non è e non può essere la causa di un bel nulla. Quello che fa davvero ridere è che la Boldrini, non si capisce per quale assurdo motivo, collega poi questi insulti ad un problema di «sessismo». Davvero curioso. Ma dove sarebbe il collegamento? Se sei donna ed un cretino ti insulta, ciò non implica automaticamente una discriminazione sessuale. Magari siamo semplicemente di fronte ad un maleducato, che dite?

LA BOLDRINI CREDE DI INCARNARE IL BENE CONTRO IL MALE

In questa recente intervista su Linkiesta ritorna sull’argomento, dicendosi sicura di conoscere i motivi di quella che evidentemente considera una persecuzione nei suoi confronti:

Ma non è un caso se sono una delle vittime principali. Sono una donna delle istituzioni, mi sono sempre battuta per i diritti. Rappresento dei valori che danno fastidio: combatto per una società inclusiva, per il rispetto delle donne, per restituire dignità a chi è colpito dalle disuaglianze.

Il ragionamento della Boldrini è banalmente elementare, una cosa tipo: io combatto per il bene ed è chiaro che le forze del male mi vengono contro. Tipo Goldrake contro le Forze di Vega. Ridicolo. E finché questi deliri rimangono circoscritti a qualche intervista, poco male. Il problema è che la tizia ricopre la terza carica dello Stato, quindi le sue strampalate tesi ci costano pure l’ennesimo spreco di risorse pubbliche. Argomento peraltro non nuovo, per una che arriva dalla famigerata FAO, che in quanto a sprechi e privilegi pare aver fatto scuola.

DUE COMMISSIONI D’INCHIESTA, LOTTA ALLE FAKE NEWS IN RETE

Pensate, la Boldrini ha costituito non una, ma ben due comissioni, e ci tiene tanto a farcelo sapere:

A Montecitorio ho istituito due diverse commissioni. Una sulla Rete, composta da esperti e deputati, che ha elaborato una Carta sui diritti e doveri in internet. È un progetto nato per tutelare i diritti dei cittadini digitali. Ma ho voluto anche creare una commissione contro odio, razzismo e sessismo, che abbiamo dedicato a Jo Cox, la parlamentare britannica assassinata alla vigilia del referendum sulla Brexit.

L’unica cosa che ci fa stare relativamente tranquilli, almeno in questo caso, è la notoria improduttività di questo tipo di commissioni. Quindi non cambierà nulla, per fortuna.

La battaglia della Boldrini punta a combattere le «fake news», le notizie false, le bufale, di cui lei, nemmeno a dirlo, si sente più vittima tra le vittime:

Vuole sapere l’ultima bufala che mi riguarda? Stando a quanto si legge in Rete, avrei proposto di assegnare la cittadinanza italiana agli immigrati che voteranno Sì al referendum. Come se per andare ai seggi domenica non fosse già necessaria la cittadinanza

Tralasciando il solito vittimismo boldriniano, dato che tutti i politici sono vittime di «fake news», concentriamoci sul collegamento tra fake news e internet. Secondo la Boldrini le false notizie sarebbero in larga parte colpa di internet, della rete, come per gli insulti peraltro, motivo questo che la spinge a pensare ad una regolamentazione. Regolamentazione, dobbiamo dircelo, che nel caso non potrà che rappresentare una limitazione dell’attuale libertà di cui si gode nella rete. Ma sarà davvero così? Le bufale e le notizie false nascono perché esiste la rete? Non è affatto così, naturalmente. Da sempre, purtroppo, capita che stampa, radio e TV si mettano a veicolare notizie false. Il Post ci ha dedicato persino una sezione, chiamandola «Notizie che non lo erano» e il direttore Luca Sofri ci ha scritto sopra pure un libro, in cui afferma chiaramente:

Il mito del web come fucina di leggende metropolitane va ribaltato: oggi la rete testa la veridicità delle notizie, mentre i falsi giornalistici sono quasi sempre il risultato di errori o leggerezze compiuti dai media tradizionali, che hanno ormai rinunciato al ruolo di filtro e alla propria funzione di controllo.

Quindi no, non è la rete che partorisce le notizie false, così come non è la polvere da sparo che uccide: sono gli uomini i responsabili.

Perché allora la Boldrini e molti come lei, vogliono ridurre il perimetro di azione di internet, magari limitando la libertà di espressione? Semplice, è una questione di controllo e di potere.

La rete, per definizione, è molto difficile da controllare, quindi qualcuno in realtà rischia di perdere il monopolio delle «fake news». Le notizie false, le balle, le bufale, magari trasformati in killeraggi politici mezzo stampa, sono sempre esistiti. Delle volte i mandanti sono chiari, altre volte meno. Le notizie false, artefatte, o costruite in malafede, non sono affatto colpa della rete, sono un vecchio malcostume di certa stampa e di certi giornalisti, di cui però il potere si è sempre servito. La rete scompagina questa gerarchia, ribalta la piramide, toglie il monopolio delle «bufale» a chi controlla i grandi media. È questo che da veramente fastidio, non gli insulti o magari un tizio sconosciuto che su Facebook dice di volerti prendere a «pisellate in faccia». Se per strada qualcuno si mette ad insultare la Bodlrini che facciamo? Chiudiamo le strade? Suvvia.

ANCHE IO VITTIMA DI UNA FAKENEWS DI REPUBBLICA

Piccola vicenda personale. Qualche anno fa sono stato vittima di una «fake news», ovvero un articolo pieno di «errori» che otteneva il risultato di screditarmi gratuitamente. Colpa della rete? Bufala del web? No, articolo pubblicato e firmato su una delle maggiori testate nazionali: Repubblica.

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In questo pezzo, che a distanza di ben 4 anni si trova ancora a pagina 2 di google quando si immette la stringa di ricerca «Monti Andrea Brianza», l’autore scriveva nell’ordine che:

Andrea Monti nella sua veste di assessore ha spinto la Provincia a concedere il patrocinio, e qualche prebenda, all´associazione “Dire-Fare-Mangiare” che si occupa di far conoscere i prodotti del territorio, di cui è presidente il fratello maggiore, Luca

FALSO 1: i patrocini erano concessi direttamente dal Presidente, gli assessori ne prendevano visione solo una volta concessi (e spesso non venivamo a saperlo nemmeno dopo). Soprattutto, e qui sta la perfidia dell’autore, non si capisce cosa intenda quando scrive «qualche prebenda», ma possiamo facilmente intuire cosa voglia far intendere al lettore. Si trattava esclusivamente di un patrocinio assolutamente gratuito (che consiste solo nel fatto che stampigli il logo dell’ente sulle brochure dell’evento, che comunque paga naturalmente l’organizzatore), patrocinio che la manifestazione ottenne anche da altre due province e da una lunga serie di comuni. Era un’attività che per mio fratello rappresentava un hobby, con cui da anni assecondava la sua passione per il cibo. Non c’è stato naturalmente il passaggio di un singolo euro, né tantomeno di nessun’altra prebenda. Come mai l’autore se l’è inventato? Colpa della rete? No. Ancora:

Cuore generoso, quello dell´assessore, che come assistente in Provincia ha scelto di essere affiancato da Maria Grazia Von Berger, compagna di vita di un altro leghista, Dionigi Canobbio. Anche lui capogruppo della Lega, ma nel consiglio provinciale brianzolo.

FALSO 2: la dipendente citata era dipendente della Provincia di Monza ben prima del mio arrivo come assessore, addirittura era già in forza alla Provincia di Milano, quindi era una dipendente della provincia prima ancora che la provincia di cui io diventerò poi assessore fosse istituita. Nella «fake news», al contrario, si costruisce il pezzo per indurre il lettore a credere che il sottoscritto abbia in qualche maniera trescato per inserire la signora nelle forze lavoro della Provincia, solo perché compagna del Capogruppo della Lega in Consiglio Provinciale. Peccato che l’allora Capogruppo in Consiglio Provinciale fosse Stefano Tagliabue di Giussano, che mi risulta essere sposato e non convivente, tantomeno sposato con Maria Grazia Von Berger. È proprio un’altra persona. Colpa della rete anche questi «piccoli» errori? Certo che No. Non è finita:

C’è anche un altro ex dipendente del Comune di Lazzate che ha fatto carriera per la sua devozione al partito. È Alberto Rivolta, tesoriere provinciale della Lega, oggi in Provincia con la qualifica di dirigente dell´assessorato al Turismo, quello di Andrea Monti.

FALSO 3: se due indizi fanno una prova, tre cosa fanno? Forse la certezza di malafede o palese testimonianza di incapacità? Giudicate voi, perché quest’ultima era molto facile da controllare, visto che il Dirigente del settore Turismo della Provincia di Monza e Brianza era ben noto. Nel caso non fosse noto al giornalista, il nome comunque facilmente riscontrabile in centinaia di documenti pubblicati sul sito web istituzionale. E, nemmeno a dirlo, non era Alberto Rivolta quel nome. Bastava una googlata da 30 secondi. Invece si è scritto il falso. Dove si sarà inventato queste notizie false? Magari riportate da qualcuno in malafede? E perché un giornalista non applica un minimo controllo? Non dico arrivare a sentire il sottoscritto, cosa che non ha fatto, ma almeno usare la rete per una verifica molto facile. Non è stato fatto. Perché? Perché forse tutte quelle inesattezze erano funzionali a dipingere un quadro denigratorio nei miei confronti, per indurre il lettore a far credere che io fossi uno che dava prebende provinciali al fratello, assumeva la compagna del capogruppo in provincia e nominava dirigente il tesoriere della Lega. L’obiettivo era quello di screditarmi, l’arma usata una notizia pesantemente artefatta. Ecco, forse è questa l’arma che qualcuno vorrebbe che fosse limitata ai grandi media, tolta alla democrazia della rete. Ma il problema non sono gli utenti della rete, perché Repubblica non può essere paragonata ad un brufoloso adolescente che insulta, sbagliando naturalmente, la Boldrini. No, in questo caso è molto più grave l’azione di un quotidiano nazionale, questo sarebbe il problema da affrontare, non la rete.