4 novembre. Niente parate, chiedete solo perdono

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Domani i festeggiamenti per il centenario della fine della Grande Guerra. Un inutile spargimento di sangue, un inutile diluvio di retorica patriottica che non fa onore e giustizia ai nostri ragazzi morti inutilmente

Domani andrà in scena il centesimo anniversario del 4 Novembre. Quello che vi faranno vedere saranno sfilate, fanfare, bandiere e tante belle parole. Quello invece che non vi faranno vedere, che non vi diranno e che non vi hanno mai detto, è che tutto ciò rappresenta un inganno. Una farsa, una sceneggiata, una vergogna e un insulto alla memoria di oltre 600.000 giovani che persero la vita senza nessuna ragione. Per un capriccio di pochi.

Partiamo dalla data: la guerra non finì il 4 novembre 1918. Fu alle 7.15 del 29 ottobre 1918, in Val Lagarina, quando il maresciallo Alexander von Krobatin fece consegnare una lettera firmata dal generale Viktor Weber von Webenau. Gli austriaci volevano firmare subito l’armistizio. Erano pronti, avevano già costituito una commissione per la trattativa. Ma questo non andò particolarmente a genio ai comandi italiani e alla politica, smaniosi di mettere in scena il finale epico e glorioso che avrebbe assecondato le loro bramosie. I giorni che seguirono furono commedia per prendere tempo. Da un lato il grande impero ormai disgregato e suoi reparti ormai in rotta. Dall’altro Badoglio e i suoi, che volevano a tutti i costi sbaragliare un esercito nemico che ormai non c’era più. La firma ufficiale dell’armistizio avvenne comunque il giorno 3 alle ore 15. Gli austriaci deposero le armi e presero la direzione di casa. Ma il comando italiano aveva deciso che il cessate il fuoco sarebbe iniziato alle 15 del giorno 4 novembre. Inseguirono un esercito in fuga, e la fecero passare alla storia come la grande battaglia finale, quella che portò alla vittoria. Una presa in giro, un inganno, così come un inganno e una sanguinosa presa in giro fu tutta la guerra.

Guerra osannata da qualche intellettuale invasato, da politici corrotti, quando andava bene. Oppure interessati a raccoglierne un vantaggio personale, o entrambe le cose. Una guerra che si prefiggeva di andare a riconquistare le terre irredente, ovvero italiani in terra straniera che sognavano di tornare alla madre patria. Una balla totale. Nelle terre irredente trentine e friulane, per esempio, si viveva meglio che in Italia e il 90% dei ragazzi sceglievano di prestare servizio di leva sotto l’Impero. Nessuno sognava davvero l’italia, tantomeno era disposto a bruciarsi la giovane vita in una guerra. Ma si fece di peggio. Gli austriaci, già impegnati nel conflitto prima di noi, e a noi legati da una trentennale alleanza, erano pronti a regalarci quelle terre con un tratto di penna. Senza spargere una sola goccia di sangue.

Fu la politica italiana, già allora corrotta fino al midollo, a scegliere di tradire l’alleanza, abbracciare quelli che erano nemici, francesi e inglesi, e sacrificare oltre 600.000 giovani vite. Perché morirono quei ragazzi? Per la patria? Ma quale, se a malapena erano a conoscenza di quali fossero i confini italiani? Per difendere i confini? Ma da chi? Nessuno aveva attaccato l’Italia. Eppure siamo tutti convinti che quei ragazzi perirono per difendere i confini italiani. Tutte balle. Quei ragazzi furono sbattuti al fronte perché la politica voleva forgiare un senso di patria che, spiace constatarlo visto il costo di vite umane, nemmeno ora si può dire davvero tale. Furono gettati nello schifo e nelle atroci sofferenze delle trincee per ingrassare il portafoglio di aziende che lucrarono sulla guerra, grazie a politici che si fecero corrompere.

Furono guidati da un generale inetto, disumano, incapace e sanguinario: Luigi Cadorna. Lui amava teorizzare lo scontro frontale. Mandava giovani ragazzi contro le mitraglie nemiche in attacchi insulsi. La convinzione: gli austriaci finiranno le munizioni prima che noi finiremo i soldati da mandare a morire. E per chi, volendosi sottrarre alla carneficina, si rifiutava di correre verso la mitraglia austriaca, erano pronti i carabinieri a fare fuoco dalla parte opposta. Cadorna considerava i soldati italiani dei codardi. Per questi porci una pallottola valeva più di un contadino, di un montanaro, di un povero cristo. Perché non mandavano i loro figli a morire. Quelli stavano imboscati. Davanti alla mitraglia veniva lanciata la povera gente, che dopo le atroci sofferenze patite in trincea, trovava la morte quasi come un sollievo. Giovani vite strappate alle famiglie, ai campi, alle montagne. Dannati i colpevoli, che possano essere maledetti. E invece a loro dedichiamo vie e piazze. Domani ascolteremo discorsi epici, tronfi di amore per una patria che non conosciamo e che abbiamo tentato di forgiare al caro prezzo di queste vite innocenti. È come se ancora una volta uccidessimo quei ragazzi. Dovremmo trovare il coraggio per proferire discorsi di una sola parola. Quella sola parola che da cento anni, un secolo, aspettano le vittime, le loro mamme, mogli e figli a cui è stata strappata una vita: perdonateci.